L’Università di Siena coordina un progetto innovativo finanziato dalla società biofarmaceutica Gilead sulla diagnosi del cancro alla vescica
Per diagnosticare un carcinoma alla vescica, uno dei quattro tumori più frequenti nella popolazione di sesso maschile, sono attualmente necessari dei test invasivi.
Uno studio dell’Università di Siena, finanziato con 30.000 euro dalla società biofarmaceutica Gilead con il bando “Fellowship program 2024”, si propone invece di porre le basi per individuare e predire il decorso della malattia a partire dai suoi stadi iniziali e senza test clinici troppo impattanti per i pazienti.
Abbiamo visto come questo potrebbe essere possibile parlando con la Prof.ssa Claudia Landi, docente del dipartimento di Scienze della Vita, che da anni studia questi temi.
Da quali evidenze siete partiti?
“Attualmente – dice la Prof.ssa Landi – la diagnosi del carcinoma uroteliale, al quarto posto tra i tumori più frequenti nell’uomo, con un’elevata prevalenza di carcinomi della vescica, viene eseguita tramite esame cistoscopico e non ha valore predittivo su prognosi e efficacia della terapia. Inoltre non esistono test su urine o siero che lo possano sostituire.
Le mutazioni genetiche (dette driver), che svolgono un ruolo-chiave nella nascita di un tumore, sono poco conosciute e il meccanismo attraverso cui le alterazioni genetiche portano ai vari fenotipi tumorali e di risposta alla terapia rimangono poco noti. Inoltre, anche i pazienti con tumori considerati meno gravi, per cui usiamo l’acronimo NMIBC (non muscolo invasivo), presentano un’alta probabilità di recidiva della malattia e di progressione verso uno stadio più grave, il MIBC (muscolo-invasivo). La conseguenza è che la maggior parte dei pazienti deve essere sottoposta a sorveglianza cistoscopica per tutta la vita e a molteplici interventi terapeutici. Emerge, quindi, la necessità di individuare dei biomarcatori per sviluppare test clinici non invasivi e ad alta prestazione per la diagnosi e la sorveglianza del tumore, a partire dai suoi stadi iniziali.”
Come è possibile scoprire i pazienti a rischio di sviluppare il tumore fino a questo stadio?
“Bisogna prima individuare in laboratorio dei biomarcatori per sviluppare test clinici non invasivi e ad alta prestazione per la diagnosi e la sorveglianza del tumore, a partire dai suoi stadi iniziali – continua la Prof.ssa Landi – L’individuazione dei pazienti a rischio richiede infatti l’identificazione dei profili molecolari che meglio predicono il decorso patologico, per avere un approccio razionale per la gestione clinica del paziente alla prima diagnosi, in modo che il tumore venga bloccato tempestivamente con approccio mirato.”
Come potremmo sintetizzare l’obiettivo principale di questo progetto?
“L’obiettivo principale del presente progetto è quello di effettuare la caratterizzazione molecolare di 60 biopsie fresche di tumore alla vescica che ancora non ha infiltrato lo strato muscolare sottostante, ottenute in seguito ad intervento chirurgico di rimozione del tumore alla prima diagnosi. Queste biopsie saranno disponibili per noi grazie alla collaborazione con il Prof. Alessandro Sciarra e il Dott. Marco Frisenda dell’Università Sapienza di Roma, Policlinico Umberto I.
Questo progetto rappresenta il primo step necessario per creare il collegamento fra fenotipo molecolare e grado della malattia/possibilità di recidiva. La caratterizzazione molecolare verrà effettuata con approccio “proteomico” – shotgun – in grado di identificare e quantificare l’intero patrimonio proteico dei campioni di tessuto oggetto dell’analisi. I profili molecolari ottenuti verranno comparati fra loro, mediante analisi statistica e bioinformatica, per definire profili proteici simili e discordanti fra i campioni analizzati. I risultati ottenuti verranno correlati anche con i dati clinici e istologici dei pazienti donatori per effettuare studi personalizzati su quel tipo di paziente, nell’ottica della cosiddetta medicina di precisione.”
I pazienti e le strutture sanitarie potrebbero ottenere dei vantaggi da questa ricerca?
“Se la nostra ricerca andrà a buon fine – conclude la Prof.ssa Landi – possiamo rispondere in modo affermativo perché la diagnosi e la prognosi dei tumori alla vescica alla fine potrebbero essere effettuate tramite semplici analisi del sangue e/o delle urine dei pazienti, senza dover ricorrere ad analisi più invasive come quella cistoscopica.
Sappiamo infatti che c’è un contatto diretto del tumore alla vescica con i fluidi biologici considerati e noi dedicheremo una parte del nostro progetto proprio alla ricerca di alcuni biomarcatori proteici più rilevanti, identificati nella prima parte dello studio, nelle urine e nel sangue degli stessi pazienti che hanno donato le biopsie. La procedura a carico delle strutture sanitarie quindi sarebbe più semplice ed efficace rispetto a quella attuale, in quanto le diagnosi, le prognosi, i follow-up del paziente e l’efficacia terapeutica potrebbero essere valutati direttamente dalle analisi effettuate sul sangue e sulle urine piuttosto che a seguito di un esame cistoscopico.”