Ingannare il cervello per guarire l’acufene cronico

Il dispositivo brevettato dal gruppo di ricerca interdisciplinare dell’Università di Siena

Il tinnitus, o acufene, è un sintomo ad eziologia spesso sconosciuta per il quale non esiste ancora una terapia specifica, che può però arrivare a essere devastante per i pazienti in termini di qualità di vita: il termine tinnitus deriva dal verbo latino tinnire (suonare) e descrive la percezione soggettiva di una sensazione uditiva in assenza di un suono esterno corrispondente.

La presenza costante, cronica, di fischi o rumori nella testa priva, infatti, l’individuo di una di quelle necessità che si manifestano come tali solo nel momento in cui le perdiamo: la quiete del silenzio. Per dare un’idea di quanto il tinnitus sia diffuso, si stima che circa il 15 per cento della popolazione mondiale accusi questo disturbo, e che nell’1% il tinnitus si associ a un corteo di sintomi, come ansia, depressione e insonnia, che minano fortemente la qualità giornaliera della vita individuale. La stima attuale della popolazione complessiva mondiale si aggira su circa otto miliardi di persone: quindi l’1% corrisponde a circa ottanta milioni di persone, che stanno ancora aspettando una terapia efficace secondo i criteri della medicina basata sull’evidenza. In Italia si stima che circa tre milioni di persone cerchino di convivere con questo problema.

Le teorie fisiopatologiche correnti più accreditate imputano il mantenimento dell’acufene a un errore di interpretazione della corteccia uditiva che auto-manterrebbe, attraverso un processo di plasticità maladattativa, il sintomo, indipendentemente dalla sua causa scatenante; qualcosa di simile a ciò che avviene nelle aree sensoriali quando pazienti che hanno subito l’amputazione di un braccio possono continuare a provare dolore nell’arto che non c’è più, dando luogo alla sindrome dell’arto fantasma

Prof. Marco Mandalà

I meccanismi tramite i quali questo fenomeno può avvenire sono molteplici, e non ancora del tutto noti: recenti ricerche neuroscientifiche, sia nell’animale da esperimento che nell’uomo, hanno stabilito che in il tinnitus si accompagna a modificazioni funzionali a livello neurale che interessano tutto il sistema uditivo (dal nucleo cocleare, situato nel del tronco dell’encefalo, alla corteccia uditiva) ma che si estendono anche ad altre regioni cerebrali connesse, principalmente quelle dedicate all’elaborazione affettiva, come il sistema limbico. Queste modificazioni sono sostenute essenzialmente da un aumento della frequenza di scarica dei neuroni del sistema uditivo e del loro livello di sincronizzazione. L’attività elettrica dei neuroni in termini di frequenza di scarica è alla base della loro comunicazione: quindi, una comunicazione interneuronale errata può generare e mantenere una sensazione fantasma come quella dell’acufene. Inoltre, a livello della corteccia uditiva esiste una rappresentazione segregata delle percezioni delle frequenze uditive che va incontro a una profonda riorganizzazione nella corteccia uditiva controlaterale all’orecchio affetto da acufene cronico.

È proprio sulla base di questo concetto di plasticità maladattativa che nel corso di questo primo scorcio di secolo sono state utilizzate come terapia dell’acufene metodiche di stimolazione cerebrale non invasiva come stimolazione magnetica o elettrica transcranica, che, essendo in grado di modulare l’attività cerebrale in modo prevedibile e controllabile, hanno trovato ampio campo terapeutico in malattie psichiatriche e neurologiche. Dopo un iniziale entusiasmo, tuttavia, si è riscontrato che i benefici della stimolazione non si mantenevano nel tempo.

“L’idea che ha guidato il nostro studio – spiega il professor Marco Mandalà, del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze,  – è stata di stimolare continuativamente, attraverso un dispositivo vibrante indossabile comandato da uno smartphone, il sistema uditivo in modo da resettare l’attività corticale anomala nei pazienti che soffrono di acufene cronico. L’ipotesi di lavoro si è basata sulla messa a punto di una terapia che prevedesse la stimolazione simultanea di più afferenze sensoriali, e per di più personalizzata in termini di frequenza e altri parametri, in modo da bombardare il cervello

Immagini della sperimentazione con il prototipo del dispositivo

così tanto da indurre i neuroni impazziti dai fenomeni plastici maladattativi ad “andare in tilt”. L’ipotesi è che, ripetendo questo intervento per più giorni, il cervello possa adattarsi a questo nuovo tipo di stimolazione, riducendo l’attenzione verso il processo patologico responsabile della sensazione uditiva fantasma. In altre parole, abbiamo cercato di sviluppare un meccanismo per ‘ingannare’ il cervello, inducendolo a focalizzarsi meno sulla percezione anomala”.

Il dispositivo, sviluppato dal team di ricerca interdisciplinare dei dipartimenti di Scienze mediche e chirurgiche e di Ingegneria dell’informazione e Scienze matematiche, fornisce una cosiddetta stimolazione multisensoriale, sotto soglia uditiva per non interferire con l’udito, nel senso che vengono stimolati recettori appartenenti a differenti sistemi sensoriali, ma tutti sensibili all’energia meccanica della vibrazione: sensibilità superficiale e profonda e recettori vestibolari. Il tipo di stimolazione è, inoltre, personalizzata in frequenza sulla tonalità e sulla tipologia del disturbo percettivo individuale.

“L’idea che sta emergendo – aggiunge Mandalà – supportata da risultati preliminari è che il tipo di stimolazione nel suo complesso, frequenza, intensità, forma d’onda, multisensorialità, potrebbe essere in grado di distrarre il cervello dall’elaborazione sbagliata dell’acufene stesso, riducendo quindi il fenomeno di plasticità maladattativa che auto-sostiene l’acufene”.

Il dispositivo è stato tutelato con la domanda di brevetto italiana n. 102017000096334 del 25/08/2017 dal titolo “Sistema di stimolazione elettro-meccanico per il trattamento del disturbo da tinnitus” (inventori Marco Mandalà, Domenico Prattichizzo e Simone Rossi), già concesso.

Dal 2020 ad oggi sono stati reclutati a Siena 107 pazienti con acufene cronico, che avevano già provato numerose terapie farmacologiche e fisiche senza successo, a cui è stato offerto di provare la terapia giornaliera con il device a domicilio per un mese (almeno 2 ore al giorno di stimolazione, target ottimale 6-12 ore). L’arruolamento è stato più lento del previsto negli anni di pandemia. La previsione attuale è di arruolare in questo studio almeno 150-180 pazienti. Lo studio è necessariamente in aperto (cioè senza un controllo placebo) e ne è prevista la fine dell’arruolamento a novembre 2025. Il costo stimato di realizzazione degli 8 device completi di smartphone a disposizione per le stimolazioni domiciliari si aggira sui 15 mila euro. 

Prof. Simone Rossi

“L’analisi ad interim dei risultati ottenuti ad oggi  – spiega il professor Simone Rossi, coinventore del dispositivo– indicano che il trattamento è stato efficace nella riduzione del disturbo in circa il 73% dei casi, con una percentuale di responders del 66%. Durante lo studio non si sono verificati casi di peggioramento dell’acufene nè variazioni della soglia uditiva misurata con l’esame audiometrico tonale, suggerendo che le procedure di stimolazione sono perfettamente tollerabili. Il risultato più importante dal punto di vista traslazionale è stato che la riduzione, a volte la scomparsa, dell’acufene cronico è persistita anche ad un mese di distanza dalla fine del periodo di trattamento. Ciò suggerisce che siano avvenute modifiche plastiche dell’attività neurale delle regioni implicate nella genesi dell’acufene”.

Copertina del libro “Il corpo artificiale”di Rossi e Prattichizzo, che in un capitolo parla del dispositivo

“Per sostanziare questa ipotesi – sottolinea – è necessario l’utilizzo di strumentazioni di indagine funzionale del cervello estremamente sofisticate, come la risonanza magnetica funzionale (fMR) e l’ellettroencefalografia ad alta definizione (HD-EEG). Al momento sono stati registrati solo dei casi-pilota, prima e dopo il trattamento, che hanno mostrato rimaneggiamenti della funzionalità cerebrale neurofisiologica e metabolica che hanno interessato non solo le aree uditive ma anche regioni funzionalmente connesse con queste, con riduzione delle attività patologiche maladattative nelle aree uditive. L’ipotesi è di ampliare il campione ad  un sottogruppo di circa 30 pazienti per rendere statisticamente valide queste osservazioni preliminari: tramite l’elettroencefalografia a 64 canali potranno quindi essere verificate le variazioni dei pattern di attività oscillatoria cerebrale loco-regionale e le dinamiche di cross-talk neuronale e tramite la risonanza magnetica funzionale la variazione dell’attività metabolica di network neurali coinvolti nella genesi dell’acufene in termini di connettività. La combinazione dei risultati di questi due approcci, inoltre, fornirà informazioni sulla riorganizzazione plastica in termini di network su larga scala, sia dinamici che strutturali, che si associano alla riduzione della sintomatologia uditiva fantasma cronica”.

Per favorire lo sviluppo del proof-of-concept dell’invenzione e, quindi la sua valorizzazione, nel 2022 è stato costituito tra l’Università di Siena (Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze e il Dipartimento di Ingegneria dell’informazione e Scienze matematiche), l’azienda MED-EL Elektromedizinische Gerdte GmbH e la Fondazione Akusia Onlus un nuovo Laboratorio di ricerca congiunto denominato “OTO-NEURO-TECH Lab”, che mette in comune know-how e risorse, realizzando un luogo di incontro, insieme fisico e virtuale, per produrre nuovi risultati e facilitare l’acquisizione di nuovi investimenti per le attività di ricerca e sviluppo.

La natura fortemente interdisciplinare del laboratorio congiunto unisce nel proprio nucleo di ricerca competenze dei settori medici, legati all’otorinolaringoiatria e alle neuroscienze, e ingegneristici, afferenti alla robotica e alle tecnologie indossabili: la struttura riunisce -fertilizzandole- competenze in ambiti diversi con importanti possibilità traslazionali. Inoltre, il laboratorio, sulla base dello specifico regolamento di Ateneo, garantisce anche l’utilizzo condiviso tra i partner di piattaforme tecnologiche situati nei diversi contesti di afferenza.

Schermate dall’app per il controllo del dispositivo

Dal punto di vista dell’organizzazione delle attività, il progetto presenta rilevanti sinergie operative nell’ambito dell’hub senese della R&S, sia interne che esterne all’Ateneo. Infatti, oltre alla complementarietà tra i dipartimenti universitari, si è sviluppato un forte legame tra l’Università stessa e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese nei cui reparti operano i docenti che hanno sviluppato l’invenzione; tali rapporti, consentono, quindi, una forte contaminazione con l’ambito clinico-assistenziale al fine di offrire risposte concrete a un problema molto rilevante per le comunità dei pazienti.

Il prototipo del dispositivo sviluppato